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LA DIMENSIONE PSICOLOGICA

Dr. Evelino Trevisan

Psicologo Psicoterapeuta

As no two persons are alike in health

so no two are alike in disease

and no diagnosis is complete or exact

which does not include an estimate

of the character of the patient.

James Paget

Variabili psicosociali ed insorgenza di cancro al seno.

Se nella cultura occidentale il riferimento clinico più remoto sembra essere quello prodotto da Democene, medico di Persepoli, che nel 500 a.C. riporta di aver guarito Atossa, moglie del Re persiano Dario da un cancro al seno che “si aprì e si estese” (1), per reperire le prime osservazioni sugli aspetti psicologici di questa malattia bisognerà attendere altri sette secoli: è infatti Claudio Galeno, medico e filosofo di Pergamo, (129 — 200 d.C.), che nella sua opera De Tumoribus osserva una particolare predisposizione allo sviluppo del cancro al seno nelle donne che manifestano sintomi “melancolici”, divenendo così il pioniere di una folta serie di osservazioni intuitive sui rapporti tra psiche e cancro (2).

Nel X secolo è un prestigioso medico arabo, Avicenna (980-1037), che individua negli “umori corrotti” la causa delle infiltrazioni tumorali nei tessuti del seno (3)

Si deve poi giungere ai secoli XVI e XVII per reperire ulteriori riferimenti letterari sull’argomento con lo svilupparsi delle prime ipotesi sulla possibile correlazione tra eventi critici ed insorgenza del cancro al seno.

Alcuni medici inglesi, prima W. Gendron e A. Guy nel 1759 quindi C. Nunn nel 1822 in Cancer of the breast, suppongono una relazione di causalità diretta tra l’aver subìto un lutto ed il successivo esordio della malattia (4).

Ancora un chirurgo inglese, Sir Astley Cooper nel 1845 sostiene che “afflizione e ansia sono tra le cause più frequenti del cancro al seno”. (5)

Anche Sir James Paget nel 1870 propone in Surgical Pathology una correlazione tra il manifestarsi di disperazione ed angoscia insistente e l’aggravamento del decorso del cancro al seno (4).

Sono tutte osservazioni intuitive che offrono pertanto una modesta attendibilità scientifica.

I primi decenni del XX° secolo vedono lo sviluppo di studi più sistematici, prevalentemente di matrice psicoanalitica, che rimangono però anedottici, pesantemente condizionati dalla modesta entità del campione analizzato oltre che dalla scarsa capacità discriminativa degli strumenti di indagine.

E’ solo a partire dalla seconda metà del XX secolo, in concomitanza con l’istituzione dei primi Servizi di Psico Oncologia Ospedaliera (Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, St. Cristopher Hospice e Royal Marsden Hospital di Londra, Karolinska Institutet di Stoccolma) che le indagini sugli aspetti psicologici del cancro al seno assumono criteri di esplicita scientificità, favorendo così il progressivo affermarsi di una Psico Oncologia basata sulle evidenze (vedasi approfondimento).

Nel 1984 si costituisce negli Stati Uniti la International Psycho Oncology Society (I.P.O.S.) alla quale farà seguito nel 1986 la European Society of Psychosocial Oncology (E.S.P.O.), entrambe società scientifiche che si propongo di promuovere la ricerca nel settore.

Anche l’Italia partecipa a questo sforzo conoscitivo della Psico Oncologia: agli inizi degli anni ottanta nasce presso l’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova il primo Servizio di Psico Oncologia al quale seguono in breve tempo quelli dell’Istituto Tumori di Milano e dell’Istituto Regina Elena di Roma. Nel 1985 viene fondata la Società Italiana di Psico Oncologia che annovera la ricerca scientifica tra le sue finalità prioritarie. Nella attualità circa 50 centri ospedalieri italiani prevedono una attività di assistenza clinica più o meno strutturata e/o di ricerca psico-oncologica. Va trovando così sempre maggiore affermazione un approccio biopsicosociale al cancro che si concretizza nella presa in carico della persona e non solo della sua malattia, approccio che restituisce soggettività all’ammalato (patient—centered care) e favorisce una sua partecipazione più propositiva e consapevole, agevolando quindi sia l’ottimizzazione del processo terapeutico che le auspicate integrazioni multiprofessionali e multidisciplinari delle cure.

Appare difficile scindere questa rapida evoluzione della ricerca in Psico Oncologia dal costituirsi negli Stati Uniti delle prime Associazioni di donne colpite dal cancro al seno che insistentemente chiedono attenzione sulla sofferenza psicologica causata dalla malattia oltre che dal concomitante (forse conseguente) diffondersi di un diverso atteggiamento sociale nei confronti del cancro al seno: si propone sempre con maggiore insistenza la metafora della guerra (“affrontare a viso aperto il nemico”, “combatterlo senza timore”, “bisogna avere spirito combattivo”, “il medico è un alleato nella battaglia contro la malattia”), interpretazioni che fanno leva sull’orgoglio personale e sulla volontà di partecipare attivamente alla sfida con la malattia, preannunciando così l’avvento della odierna “partnership” tra medico e paziente (6).

Una rivoluzione nel modo di interpretare questa malattia che è tuttora in atto, a giudicare dai risultati offerti da una recente meta-sintesi (7) e che trova un determinante contributo nella incessante evoluzione delle strategie terapeutiche. Da un lato la conquista di una maggiore incisività di cura consente indici di sopravvivenza e livelli di Qualità di Vita sempre migliori rendendo così anacronistico l’achetipo di “male incurabile”. Dall’altro il cambiamento dell’euristica di cura, dal “massimo trattamento tollerabile” al “minimo trattamento efficace”, favorisce un atteggiamento sociale più fiducioso verso le terapie, facilitando così una partecipazione sempre più diretta, nell’intento di trasformare l’utente in un “tifoso” della ricerca scientifica.

Nell’ultimo ventennio la letteratura scientifica internazionale di Psico Oncologia ha prodotto sufficienti evidenze da consentire una valutazione attendibile sulla incidenza dei fattori di rischio psicosociali nel cancro al seno. I principali oggetti di indagine sono state le variabili riconducibili ad aspetti di personalità e l’incidenza di eventi stressanti. Numerosi studi controllati randomizzati, a sviluppo retrospettivo, semi prospettivo, prospettivo hanno affrontato, con esiti a volte contradditori e con procedure non sempre esenti da bias metodologici, la disamina di tali argomenti. Per una loro valutazione dettagliata si rimanda alle revue già esistenti (2, 4, 8). In questo ambito riteniamo utile offrire una succinta esposizione delle conclusioni più ampiamente condivise.

- Personalità e rischio di cancro al seno.

Come abbiamo visto l’ipotesi che un particolare profilo di personalità potesse favorire lo sviluppo di cancro al seno è di per sè remota anche se per lungo tempo rimane a carattere suggestivo. E’ nei primi anni ottanta, ed in particolare con gli studi di Temoshok L. (9) che si offre una prima parziale oggettivazione alla presenza negli ammalati di cancro di un particolare orientamento di personalità, definito di tipo C (cancer prone), caratterizzato da:

- atteggiamenti di compiacenza, accondiscendenza, passività

- tendenza alla repressione delle emozioni ostili, in particolare rabbia ed aggressività

Le replicazioni hanno offerto risultati contradditori. Se una certa concordanza è andata affiorando per quanto riguarda la repressione delle emozioni ostili (condizione per altro comune ad altre patologie), non appare convalidata la presenza di uno specifico orientamento di personalità nei soggetti colpiti dal cancro al seno (4). Esiti discordanti sono stati offerti anche dagli studi sulle possibili conseguenze che la repressione delle emozioni ostili ed il vissuto di impotenza potevano avere sulla prognosi: alcuni autori hanno individuato una minor sopravvivenza nelle donne portatrici di tali caratteristiche, mentre altri non hanno evidenziato differenze significative (2).

La convinzione attualmente più condivisa è che la maggior frequenza statistica di alcune variabili di personalità sia verosimilmente un fattore associato, concomitante ma indipendente, e non una variabile coinvolta nella genesi del cancro. Viene altresì postulato che l’eventuale presenza significativa di repressione delle emozioni possa essere una conseguenza del cancro piuttosto che causa (2). Decade quindi la convinzione “mitologica” che il cancro al seno sia una malattia che colpisce persone sessualmente represse, inibite, rassegnate, prive di spontaneità, incapaci di esprimere la collera e di affermare i propri diritti, convinzione che oltre ad essere scientificamente inesatta è stata (ed a volte ancora è) causa di sensi di colpa (“allora ho provocato io la malattia”) di sentimenti di vergogna (“mi sono ammalata perché sono inadeguata”) oltre che motivo suppletivo di angosciosa impotenza (“se è successo senza che me ne accorgessi può risuccedere”).

- Eventi stressanti e rischio di cancro al seno.

Che lo stress provochi il cancro al seno è, come abbiamo visto, una supposizione remota e rappresenta altresì una convinzione ancora presente tra coloro che subiscono tale evento.

Taylor ed al. (8) riscontrarono che ben il 41% del loro campione riteneva fermamente che lo stress fosse la causa principale del loro cancro al seno.

E’ una ipotesi che rimane sostanzialmente intuitiva sino al noto articolo di Bartrop R.ed al. (10) dove gli autori proponevano che l’evento stressante fosse causa di immunodepressione e quindi condizione favorente il successivo sviluppo della neoplasia.

Anche in questo caso le numerose replicazioni non hanno offerto piena conferma sulla fondatezza dell’ipotesi che una particolare incidenza di eventi stressanti nell’arco di vita aumenti il rischio del cancro al seno.

Discordanti e con esiti contradditori sono anche le ricerche che hanno tentato di correlare l’incidenza degli eventi stressanti con le eventuali recidive di malattia: alcuni autori segnalano un minor intervallo libero di malattia ed una minore sopravvivenza in coloro che riportavano più eventi stressanti mentre altri non individuano nessuna relazione significativa tra le due variabili (2).

Le obiezioni più comuni a tale ipotesi sono:

- lo stesso evento critico può causare in persone diverse reazioni emotive anche contrapposte, quindi più che l’evento in sé diventa importante la sua gestione cognitiva

- se negli studi animali esiste buona evidenza che l’esposizione sperimentale a fattori stressanti influenzi sia il decorso che l’insorgenza di neoplasie, e se nell’uomo sussiste l’evidenza che lo stress si correli alla diminuzione delle difese immunitarie, manca comunque nell’uomo l’evidenza di una specificità tra decadimento delle difese immunitarie ed esordio del cancro, correlazione che nell’attualità rimane solo supposta

- la manifestazione clinica della malattia non corrisponde al suo esordio, rendendo così

difficilmente valutabile la corrispondenza tra evento critico e latenza di malattia

Nonostante ciò permangono anche evidenze a favore, sia pur non sistematiche:

- la genesi e lo sviluppo del cancro trova correlazioni con la attività del sistema immunitario

- alcune funzioni del sistema immunitario risultano influenzate da fattori psicosociali

- gli studi di psiconeuroendocrinoimmunologia evidenziano espressioni neurotrasmettitoriali e neuroendocrine comuni sia per la funzione immunitaria che per gli aspetti psicorelazionali

Tutto ciò porta taluni Autori ad indicare più nello stress cronico che nell’evento acuto un possibile co—fattore di patogenesi tumorale (11). Non sarebbe quindi il singolo evento che per altro può essere variamente interpretato ma una condizione di cronica sollecitazione stressante a favorire l’insorgenza del cancro. Questa prospettiva induce ad esaminare non tanto la frequenza degli eventi ma lo stile attribuzionale attraverso cui gli eventi vengono interpretati ed elaborati cognitivamente.

Nella attualità le riflessioni sui rapporti tra stress e cancro sono tutt’altro che concluse (vedasi approfondimento) ed interessano in modo particolare quelle tipologie di tumore che più risultano sensibili agli effetti degli ormoni, com’è notoriamente il caso del cancro al seno. Se da un lato la pratica clinica offre conferma alla possibilità che la modulazione affettiva influenzi il decorso di malattia dall’altro mancano evidenze all’ipotesi che specifiche emozioni causino specifiche malattie, ipotesi che per altro comporta laceranti vissuti di colpa nell’ammalato che si percepisce essere la causa involontaria della malattia, offrendo così disponibilità alle interpretazioni punitive del cancro al seno.

Gli orientamenti più recenti della ricerca in Psico Oncologia in Senologia fanno maggiore riferimento agli stili di coping, alle possibilità di adattamento e di gestione del disagio psicologico provocato dal cancro piuttosto che ai rapporti tra fattori psicosociali ed insorgenza del cancro al seno. Ma prima di affrontare brevemente le ricerche sugli stili di coping è necessario cogliere le peculiarità del disagio psicologico causato dal cancro al seno.

I significati del disagio

“Togliere un seno non è mai solo togliere un seno. Marta.”

La valutazione dell’impatto psicologico di una malattia non può prescindere dai significati attribuiti alla malattia ed all’organo colpito. Entrare nel caleidoscopio delle interpretazioni personali e sociali del cancro al seno può comportare uno sforzo epistemologico non marginale e può sembrare un intento labirintico o superfluo o divagante di fronte ad esigenze gerarchicamente preordinate (il rischio della vita) ma è operazione indispensabile per cogliere la dimensione psicosociale ed è al contempo una tappa ineludibile nel processo di conoscenza e di cura di questa malattia poiché è solo attraverso la comprensione di tali significati può esser costruito un processo di partnership con la persona ammalata (12).

La pregnanza degli aspetti ermeneuitici del cancro al seno rende quindi inevitabile una breve digressione dalle riflessioni “evidence based”, con l’auspicio di non infierire sui lettori con minore affinità e rimandando altresì i lettori più esigenti sia all’autorevole approfondimento presente in quest’opera che alle altre numerose pubblicazioni sull’argomento.

Vi è un “significato sociale” degli eventi che è funzione del particolare contesto storico e sociale in cui gli eventi si dispiegano (5). La malattia non è esente da tale processo come testimonia tutta storia della medicina. Ne consegue che è quasi impossibile affrontare la malattia senza venire influenzati dal suo concetto sociale (13).

Gli archetipi sul cancro portano ad interpetrarlo come invasione subdola che si estende e prolifera silenziosamente, immagine che trova ampie corrispondenze anche nelle origini etimologiche della parola (dal greco karkinos, dal latino cancer) che significano entrambi granchio, termine suggerito secondo Galeno dalla diffusione metastatica che striscia e si insinua senza dare sintomi evidenti se non quando ormai è troppo tardi. (5)

Nell’immaginario collettivo la parola cancro ha un suono vorace e corrosivo che ha riferimenti più o meno consapevoli con la morte sofferta, progressiva, ineludibile :”è una malattia che mi mangia, che ho dentro, che mi invade, che mi ruba la vita” (14) fomentando le paure descritte in letteratura dai “seven D: death, dependence, disfigurement, disability, disruption, discomfort, disengagement”.

Il concetto di “invasione subdola” intrecciato con il concetto di “morte ineludibile” rende il cancro l’evento che più infierisce sul senso di controllo personale costringendo chi lo subisce ad un vissuto di “impotenza appresa”.

Sono motivi di disagio che nel cancro al seno possono trovare una ulteriore amplificazione per la peculiarità dei significati attribuiti a quest’organo. Nessun’altra area morfologica può annoverare infatti un intreccio così pregnante di simbolismi, ognuno dei quali per altro così essenziali per l’affermarsi prima ed il declinare poi della identità femminile.

Quale “organo” il seno rimanda alla sue funzioni fisiologiche.

E’ fonte di nutrimento ed in quanto tale assolve alla funzione materna divenendo così simbolo di vita, forse il più arcaico ed universale simbolo di vita. Ridondanti sono le sue rappresentazioni nella mitologia e nell’arte antica dove è emblema di fertilità, rigogliosità, prosperità.

Ma contemporaneamente è anche organo sessuale, quindi prova di identità femminile, strumento di seduzione e di erotismo nonché fonte di piacere. Da esso dipende per larga misura la qualità del rapporto con la propria immagine corporea. Come efficacemente sostiene Marilyn Yalom “il modo nel quale una donna guarda il suo seno è un buon indicatore del suo grado di autostima” (1).

Vi è infine un “seno commerciale” che diviene strumento estetico di comunicazione, per altro spesso inflazionato.

Tutto ciò nei significati più o meno condivisi del contesto socio-culturale occidentale.

Ma accanto a questa dimensione sociale troviamo poi una dimensione intima, privata, squisitamente soggettiva, che si esprime nel sofisticato equilibrio dell’immagine corporea, che non è l’immagine reale, oggettiva, riflessa da uno specchio, bensì la rappresentazione mentale del proprio seno (15). Nell’immagine corporea si intrecciano indissolubilmente aspetti fisiologici e psicologici, si confrontano le comunanze e le differenziazioni, tra pudori ed esibizionismi, si coniuga l’idea di ciò che è stato con ciò che è, con ciò che si vorrebbe sia, con ciò che si pensa che gli altri vedano e ciò che si sente. L’immagine corporea diviene allora il testimone della biografia femminile, una rappresentazione non statica bensì dinamica e cangevole che coniuga gli archetipi sociali con la individualità, costruendo così una dimensione altamente soggettiva, poiché come abilmente evidenzia Dominique Gros “esistono tanti seni quante le donne che lo portano e uomini che li guardano” (1)

Ed è in questa dimensione, squisitamente individuale, che si annoverano i significati più diversi.

Succede allora che il cancro al seno venga interpretato come condanna divina, penitenza da assolvere per un bisogno di vanità (mostrare seni abbondanti) o per essersi abbandonati ad una passione amorosa. Colei che si ammala è quindi soggetta anche ad un giudizio morale: è cattiva, nel senso latino/cristiano del termine “captivus diaboli” (prigioniera del diavolo) ed il demone è rappresentato dalla ineludibile attesa della morte. E può essere altresì che il cancro al seno divenga l'esperienza che finalmente sancisce la propria estraneità alla sessualità, che consente quell’auspicata liberazione da una sessualità sofferta, percepita come dovere.

Ma anche oltre queste interpretazioni estreme, il cancro al seno è comunque l’insulto più lacerante, l’offesa più temibile. Per conservare la metafora della guerra è il nemico più temuto che colpisce l’area più delicata e vulnerabile (6). Il cancro al seno diviene quindi l’esperienza dove si mescolano e si confrontano le coppie antinomiche di vita e morte, divenire e divenuto, speranza e disperazione, costringendo allo sviluppo di inestricabili ambivalenze: “Come è possibile odiare il cancro senza odiare il mio corpo e quindi me stessa ? Come posso accettare la chemio che mi fa stare così male ?”.

Il senso di perdita può assumere livelli di gravità tanto accentuati da rappresentare una “perdita dell’identità”, laddove la vita non è più alleata e viene a mancare la possibilità di possedere il proprio futuro, scatenando così i bisogni più intimi di consolazione e rassicurazione.

Diversità, senso di estraneità, perdita della tacita (e spesso ingenua) complicità con il proprio corpo, frammentazione del concetto di sé, sono tutte esperienze dolorose che costringono ad una altrettanto dolorosa e forzata revisione del progetto di sé, quando il presente è angosciante ed il futuro crolla.

Il disagio psicologico diviene quindi intenso e comune a tutte coloro che vanno incontro a tale evento, rientrando di per sé, in quanto minaccia alla vita, tra le condizioni nosografiche (DSM IV) che consentono la diagnosi di disturbo post traumatico da stress (16).

Non è un caso se i tumori alla mammella risultano essere la tipologia più frequente di consultazione psico-oncologica sia in Italia che in Europa (17).

E’ un disagio che spesso si estende, interessando soprattutto le relazioni primarie (partner, figli, genitori), contagiando inevitabilmente gli affetti primari poichè “colpisce il corpo e la mente di chi lo subisce, l’anima ed il cuore di chi gli sta vicino” (Elena).

Pur essendo comune è un disagio psicologico che rimane però fortemente soggettivo, molto diversificato da persona a persona e da fase a fase di malattia. Nella sua intensità può limitarsi a manifestazioni sub cliniche che trovano naturale compensazione all’interno dei rapporti affettivi e può altresì esplodere, assumendo connotazioni di franca patologia psichiatrica e quindi richiedere l’ intervento specialistico.

Quali sono le discriminanti tra un disagio sotto soglia ed un disturbo ?

Quali variabili possono aiutare a predire tale differenza ?

Cosa favorisce e cosa danneggia il faticoso processo di adattamento alla malattia ?

Variabili psicosociali ed adattamento al cancro al seno.

Rowland JH e Massie MJ (18) indicano la necessità di considerare una valutazione psicologica e/o psichiatrica per tutte le donne che presentano nella attualità o in anamnesi :

- depressione o disturbi d’ansia

- ideazioni autolesive o pregressi tentativi di suicidio

- abuso di sostanze o di alcool

- stati confusionali (esiti di encefalopatie o delirium)

- acatisia per neurolettici antiemetici

- giovani o anziane, con scarso supporto sociale

- elevato investimento nella loro immagine corporea

- oscillazioni del tono dell’umore, irritabilità, insonnia causata da steroidi

Inoltre anche coloro che:

- presentano una storia familiare di cancro al seno

- richiedono la mastectomia profilattica

- non sono in grado di partecipare alle decisioni terapeutiche

- devono gestire più eventi stressanti, più perdite concomitanti

- appaiono terrorizzate dai trattamenti chirurgici e/o adiuvanti

- richiedono l’eutanasia

- appaiono incapaci di aderire al consenso informato

Un tentativo empirico di sistematizzare tale valutazione è offerto dalla “scheda di valutazione del rischio psicologico” (tabella 1).

Per quanto attiene al processo di adattamento l’analisi più autorevole (8) individua tre categorie di variabili che possono influenzare la risposta psicologica al cancro al seno:

- il contesto socio-culturale

- gli aspetti medici

- i fattori psicologici

Del contesto socio culturale abbiamo già in parte esposto precedentemente. Comprende il significato sociale della malattia, com’è rappresentata nell’immaginario collettivo, oltre che una serie di variabili relazionali e socio anagrafiche tra le quali assume un ruolo decisamente preminente il “supporto sociale” cioè la qualità delle relazioni affettive in atto. In questo ambito particolarmente suggestiva è la correlazione tra supporto sociale e funzionalità immunitaria.

Alcuni studi condotti da Sandra Levy presso l’Università di Pittsburg su pazienti affette da carcinoma alla mammella di I e II stadio (19) hanno ad esempio evidenziato una correlazione tra maggiore attività citotossica delle cellule NK ed elevato livello di supporto emozionale ricevuto sia dai familiari che dagli operatori sanitari.

Rowland R. e Massie M. (8) così riassumono le variabili socio culturali che favoriscono un buon adattamento alla malattia:

- uno stile comunicativo efficace dello staff medico

quindi l’accesso alle informazioni sui trattamenti e sulle possibilità di fronteggiamento oltre

che la possibilità di essere attivamente coinvolti nelle decisioni

(vedasi: Variabili psicologiche che influenzano la partnership)

- esempi di gestione efficace della malattia offerti da personalità pubbliche come anche il

confrontarsi con persone che hanno efficacemente superato la malattia (modeling).

Altresì sussistono evidenze che alti livelli di stress e di morbilità psichiatrica sono correlati con:

- precarietà nelle relazioni famigliari o di coppia e carenze generalizzate nel supporto sociale

- la presenza di eventi stressanti, e tra questi è da considerarsi in particolar modo una precedente esperienza di cancro al seno nell’ambito familiare, soprattutto se ad esito infausto

- anamnesi di psicopatologia recente o remota

- specifiche fasi del ciclo di vita

la minaccia al senso di femmilità ed alla autostima risultano più difficilmente gestibili se

interessano una donna giovane senza partner anche se alcuni studi evidenziano per altro

alti livelli di distress anche in donne di età superiore ai 65 anni

- un basso livello socioeconomico

Altri ricercatori evidenziano anche sostanziali differenze etniche: le donne ispaniche presentano il maggior livello di distress e di crisi del senso di femminilità, le americane africane il minore (20).

I lavori di Dunn J e Steginga S. (21) e di Dohan L. (22) pur confermando una maggior vulnerabilità sia per le donne giovani che anziane evidenziano caratteristiche di sofferenza psicologica sostanzialmente diverse nei due clusters, soprattutto attribuibili al diverso impatto sulla sessualità e sulla procreazione.

Le variabili mediche che influenzano l’adattamento psicologico comprendono principalmente

- lo stadio della malattia alla diagnosi

- la tipologia di intervento chirurgico

- la prognosi e le possibilità riabilitative.

- La diagnosi

La comunicazione della diagnosi rappresenta certamente uno dei momenti più critici per l’impatto psicologico. Molti studi evidenziano la pregnanza e la delicatezza di tale contesto.

Tjemsland et al. (23) ad esempio riportano una elevata frequenza di “risposta traumatica acuta da stress” tra coloro che ricevono diagnosi di cancro alla mammella, sofferenza che si mantiene elevata, sia pur a livelli inferiori, anche a due settimane dalla comunicazione della diagnosi.

Weihs et al. (24) rilevano che un buon adattamento viene favorito dalla presenza di supporto emotivo (ex. un familiare) durante la comunicazione della diagnosi, indicazione che consente una interpretazione più congrua e realistica delle informazioni mediche ricevute.

Le ricerche di Roberts et al. (25) evidenziano che l’adattamento anche a lungo termine viene soprattutto favorito da uno stile comunicativo esaustivo ma non terroristico da parte degli operatori sanitari (vedasi anche: Aspetti psicologici che favoriscono la partnership).

- Intervento chirurgico

Tra le pazienti che subiscono la mastectomia sono documentati frequenti sentimenti di mutilazione, di alterazione dell’immagine corporea con perdita del senso di femminilità e di attrattività e forte riduzione della libido. (4)

Recenti studi valutano che circa il 20/25 % delle donne che subiscono la mastectomia presentano nei 12 — 24 mesi successivi un significativo grado di stress. Dal 5 all’8% di queste sviluppa una chiara psicopatologia (8). Diversi studi hanno testimoniato i benefici effetti degli interventi conservativi soprattutto sulla immagine corporea e sulla sessualità con un sostanziale miglior adattamento anche se l’intervento conservativo non può comunque essere considerato una panacea (4)(8)(18).

Il livello di distress aumenta considerevolmente nelle donne che presentano conseguenze della dissezione ascellare (linfedema, dolore, rigidità, difficoltà nei movimenti) disagi che per la loro visibilità possono comportare difficoltà relazionali e sentimenti di vergogna oltre che la compromissione del normale funzionamento fisico (26) (27)

- Chemioterapia adiuvante

Numerose ricerche evidenziano condizioni di disagio psicologico indotte dai trattamenti chemioterapici adiuvanti, non sempre e non solo limitati al periodo di somministrazione. Meyerowitz ed al. (28) riportano ad esempio che dopo due anni dal completamento della chemioterapia il 44% del campione continuava a manifestare problemi fisici.

Nausea e vomito risutano i più comuni effetti della chemioterapia, per altro ben gestibili sia con interventi farmacologici che cognitivo comportamentali (8).

Alcuni altri sintomi ricevono meno attenzione senza per altro risultare meno debilitanti.

L’alopecia viene a volte riportata essere più invalidante della comunicazione della diagnosi e dello stesso intervento chirurgico, principalmente perché, come il linfedema e come i trattamenti ad infusione continua, è un visibile indicatore di malattia. L’informazione corretta e dettagliata può notevolmente ridurre il distress causato dalla perdita dei capelli (18)

L’incremento ponderale che sembra interessi il 50% circa delle donne sottoposte a terapia adiuvante, è un ulteriore insulto alla propria immagine corporea. Programmi dietetici possono favorire un maggior senso di controllo ed una conseguente diminuzione del disagio (4).

Correlato alle posologie dei chemioterapici è anche l’impairement cognitivo: amnesie selettive, deficit di attenzione e concentrazione risultano particolarmente debilitanti e possono esser causa di distress relazionale. (29)

L’amenorrea chemioterapica è causa di rilevante disagio psicologico nelle giovani donne che subiscono il cancro al seno. Vampate, insonnia, irritabilità, secchezza vaginale sono tra i sintomi più comuni. Possono altresi riscontrarsi una diminuzione della libido accompagnata da disfunzioni sessuali. L’impatto psicologico causato da queste alterazioni è decisamente rilevante (30)

La fatigue è altresì una evenienza debilitante spesso trascurata. Appare problematica una diagnosi differenziale con le sindromi asteniche sia di natura depressiva, sia di matrice organica, sia conseguenti ai trattamenti adiuvanti, sia direttamente causate dalla malattia. .

Non è infrequente infine il “trauma della fine delle cure”, la sensazione cioè di essere meno protetta quando si sono completati i trattamenti adiuvanti (31)

Hanson M. et al. (32) distinguono una fase acuta del disagio psicologico, identificabile con i primi trenta giorni dalla diagnosi, da una fase continuativa che presenta una evidente attenuazione ed una sostanziale diversificazione dei sintomi psicologici.

Non ancora sufficientemente sviluppati sono gli studi sul disagio psicologico prodotto dalla terapia ormonale adiuvante. In questo ambito Fisher et al.(33) identificano due cause di sofferenza:

- l’ansia causata dall’incremento di rischio per il tumore all’endometrio, embolia polmonare, tromboflebite, ictus

- gli effetti collaterali, in particolare l’incremento ponderale, le vampate, la secchezza vaginale

- Radioterapia

Comincia a consolidarsi l’evidenza che le donne sottoposte a radioterapia sono a più elevato rischio di disagio psicologico, in particolare di tipo ansioso (8).

Non sono infrequenti sintomi claustrofobici (4). La frequenza giornaliera dei trattamenti può altresì favorire il manifestarsi di condizionamenti avversivi all’ambiente di cura (ansia anticipatoria) (8).

Hughson et al. (4), confrontando un gruppo di donne sottoposto a radioterapia con un gruppo sottoposto al solo intervento chirugico, hanno rilevato una diversa evoluzione del disagio psicologico in riferimento alla fase clinica:

- ad un mese dal trattamento non veniva rilevata alcuna differenza tra i due gruppi

- a sei mesi rilevavano maggiori sintomi fisici e peggiore adattamento psicosociale nelle donne sottoposte a radioterapia

- ad un anno dal trattamento ritornavano a non esserci significative differenze

- Ricostruzione

Non c’è evidenza che le donne che richiedono l’intervento di ricostruzione siano psicologicamente più fragili. Risulta invece che le donne che chiedono una consultazione per la ricostruzione sono meglio adattate e dopo l’intervento chirurgico presentano un considerevole aumento del grado di soddisfazione psicologica con miglioramenti della sessualità e delle relazioni sociali. Risulta altresì che più dell' 80% delle donne sottoposte alla ricostruzione si riconosce soddisfatta dei risultati. (8) Il livello di adattamento risulta invece ampiamente correlato alla tecnica chirurgica utilizzata: uno studio italiano multicentrico ha messo in rilievo un maggior livello di stress sia nelle donne sottoposte a ricostruzione differita che in quelle che venivano interessate dalla ricostruzione mediante l’impiego di un lembo miocutaneo di retto addominale (TRAM) (4).

Risulta altresì evidente che la ricostruzione immediata oltre a comportare un maggior grado di soddisfazione sia correlata anche alla minor morbilità psicologica (8)

Programmi psicoeducazionali (vedasi capitolo) di preparazione ai trattamenti sono non solo auspicabili ma determinanti per agevolare un miglior adattamento alla malattia oltre che favorire la partnership.

Stili di adattamento al cancro al seno

La variabile che maggiormente influisce sulla qualità dell’adattamento psicologico al cancro al seno è risultata essere soprattutto lo stile cognitivo utilizzato per affrontare questo evento, ciò che abitualmente viene definito “stile di coping”.

Pur essendo stato oggetto di più formulazioni teoriche si ritiene che la definizione più esaustiva di “coping” sia quella offerta da Lazarus e Folkman (34) che recupera le caratteristiche di questo costrutto più ampiamente condivise, e cioè:

- è lo sforzo cognitivo attivato da un evento stressante che viene percepito come eccedente le risorse personali

- non è una modalità stabile, predefinita, bensì è un processo variabile in virtù della specificità del contesto

- lo stile attribuzionale, cioè il processo cognitivo attraverso cui si elabora uno specifico significato dell’evento critico, viene considerato la dimensione centrale del coping;

da esso dipende la pregnanza e la tipologia della conseguente reattività emotiva e

comportamentale

- può essere adattativo o disadattativo, può cioè favorire la gestione efficace dell’evento critico o comprometterla

- ha essenzialmente due modalità adattative: una centrata sulla concreta soluzione del problema attraverso strategie attive e propositive (problem-focused), l’altra centrata sulla risoluzione del disagio emotivo causato dal problema attraverso una ridefinizione meno minacciosa dell’evento critico o attraverso la negazione/evitamento (emotion-focused); la prima modalità è più frequente quando si ritiene che il problema possa essere concretamente gestito, la seconda quando la situazione è ritenuta incontrollabile.

Lo studio che più ha apportato evidenze negli stili di coping del cancro al seno è il famoso “Faith Courtauld Unit” condotto da Steven Greer et al.a partire dal 1972 presso il King’s College di Londra (35). L’indagine condotta su pazienti affette da carcinoma della mammella in stadio precoce e sottoposte ad intervento di mastectomia semplice ha evidenziato cinque diversi stili di adattamento alla malattia che trovano specifiche corrispondenze con la reattività psicopatologica oltre che con diversi livelli di compliance (36):

- spirito combattivo

atteggiamento di fiducia nelle proprie capacità di affrontare la malattia;

livelli moderati di ansia e bassi livelli di depressione;

buona compliance;

- negazione/evitamento

tendenza a minimizzare la malattia ed ad assumere un atteggiamento indifferente;

assenza di manifestazioni ansioso-depressive;

compliance problematica;

- preoccupazione ansiosa

reazione di allerta perenne, allarmismo ed angoscia

ansia elevata, depressione fluttuante

ricerca parossistica di informazioni

- fatalismo

rassegnazione passiva, stoicismo ed assenza di opposizione

bassi livelli di ansia, elevati livelli di depressione

ridotta compliance

- disperazione

sensazione di inutilità, di sconfitta, di impotenza

elevati sintomi di ansia — depressione;

scarsa compliance;

Le verifiche prospettiche a cinque, dieci e quindici anni oltre che le replicazioni più recenti (37) hanno confermato che l’adozione di coping caratterizzati da spirito combattivo e negazione/evitamento risultano correlati, a parità di fattori prognostici noti, ad un maggior intervallo libero di malattia ed ad una maggiore sopravvivenza nel tempo rispetto agli stili di coping caratterizzati da fatalismo, disperazione, preoccupazione ansiosa (39).

I cinque stili di coping del cancro al seno possono essere misurati (40) ma l’aspetto forse più interessante è che possono essere incentivate le loro manifestazioni adattative, ed è questa la frontiera attuale degli interventi psicosociali. (vedasi: Psicoterapia individuale)

Conclusioni

La ricerca scientifica in Psico Oncologia Senologica ha progressivamente modificato il suo oggetto di interesse: dalla ipotesi psicosomatica si è passati al considerare il distress causato dalla malattia e quindi a concentrare le attenzioni sulle modalità di adattamento ad essa.

Si è visto in particolare che le persone che subiscono minor disagio presentano

- atteggiamento attivo, propositivo, orientato alla ricerca di soluzioni più che all’autocommiserazione

- flessibilità e capacità di adattarsi alle varie fasi della malattia

- abilità nell’usufruire delle risorse sociali

In contrasto sono associate al maggior rischio di morbilità psicologica le donne che presentano

- atteggiamento passivo caratterizzato da sentimenti di impotenza e disperazione

- stile pessimistico

- rigidità

- isolamento sociale

Le convinzioni più attuali propendono nel ritenere che lo stile attribuzionale (il soggettivo significato attribuito all’evento) sia il principale fattore protettivo nei confronti del disagio psicologico causato dal cancro al seno.

Alcuni studi suggeriscono che le donne che presentano uno stile “fighting spirit” manifestano una miglior Qualità di Vita oltre che un maggior tempo di sopravvivenza.

Lo sviluppo più ambizioso di questa incessante evoluzione conoscitiva è rappresentata dalla possibilità di “costruire il fighting spirit” spostando l’attenzione dallo stile di coping alle variabili cognitive che determinano e precedono quella specifica strategia di coping: in questo ambito molto interessanti sono le ricerche sull’ottimismo disposizionale (41) e sulla aspettativa di efficacia (42), variabili che sono predittive di un efficace adattamento psicologico al cancro al seno (43).

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